di Massimiliano Furlan
(vinoclick) l Lazio e i suoi vini, una storia facile ma allo stesso tempo molto complessa. Il potenziale del territorio è di assoluta eccellenza, c’è tutto il necessario per fare prodotti straordinari, abbiamo un terroir vulcanico minerale, un clima temperato dovuto all’influenza del mare con buone escursioni termiche, sole in abbondanza nelle stagioni della maturazione e come se non bastasse, luoghi di grande storia e fascino che possono attirare turismo e quindi divulgazione. Malgrado tutto questo il vino non decolla, il Lazio è ancora fermo a “…lo vedi la c’è Marino la sagra c’è dell’uva…” come diceva una canzone romanesca. L’evoluzione non c’è stata, i vini laziali non riescono a collocarsi al pari di altri blasonati in giro per l’Italia. Allora dov’è il problema di un prodotto che tra l’altro, ha una spinta supersonica chiamata Roma che dovrebbe essere invasa dai vari Frascati DOCG o Cesanese, ed una delle criticità è proprio questa, la comunicazione, i vini del Lazio non vengono promossi adeguatamente, sia a livello pubblicitario sia a livello di distribuzione, nei ristoranti e nelle enoteche troviamo pochissime etichette e sempre le stesse, eppure soltanto su Roma, dove albergano milioni di turisti all’anno, una buona divulgazione porterebbe non solo ad una economia di tutto rispetto ma anche la divulgazione dei prodotti tale da uscire anche dai confini regionali.
Un’altro problema è la mancanza di investimenti nelle aziende, i produttori sono molto restii non solo nel rinnovare le vigne ormai vecchie ed in sotto produzione ma non si investe in materiale umano come enologi, agronomi e capi cantina oltre a rendere le aziende più dinamiche e moderne e non ancorate ancora ai vecchi sistemi sia produttivi che di vendita. Bisogna anche dire che la Regione si riempie la bocca di belle parole e di numeri ma poco contribuisce allo sviluppo del comparto enologico e non solo ma anche il Comune di Roma non promuove mai visite alle aziende ai turisti che potrebbero incrementare, non solo il turismo limitrofo, ma anche una bella promozione per il vino.
Riguardo i vini del Lazio il paradosso risiede nel fatto che le aziende che producono vino da vitigni non laziali hanno uno standard qualitativo maggiore rispetto a quelli tipici della Regione. Per esempio, abbiamo grandi vini Chardonnay oppure Cabernet Franc, Viognier, Cabernet Sauvignon o Merlot e anche Grechetto. Di contro la Malvasia in tutto le sue varianti, il Bellone, il Bombino e l’autoctono Cesanese stentano ad affermarsi qualitativamente e sopratutto come immagine mediatica. I Consorzi del Frascati DOCG o del Cesanese dovrebbero investire di più nella presenza alle vari manifestazioni enologiche e nella comunicazione sia stampa che nei social media oltre che nella distribuzione a tappeto nei luoghi dove il vino si consuma.
Ogni settore che si occupa di vino non ha ancora capito o forse si, che avere come volano di lancio la Capitale del Mondo è una fortuna inestimabile ed a nulla serve inventarsi una Doc chiamata Roma perché il turista alla fine si porta a casa una bottiglia di Barolo o di Montalcino ignorando la produzione del Lazio che appare come una bella donna che non piace a nessuno.
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